Sara Rattaro

SPLENDI PIU' CHE PUOI



Splendi più che puoi è un romanzo scritto da una donna, su una donna per le donne che da sole non possono salvarsi, ma hanno bisogno di chiedere aiuto “da sola non puoi salvare una persona violenta, non la puoi aiutare e cambiare, non la puoi sostenere”.
E’ la storia di Emma, una ragazza appena iscritta alla facoltà di Architettura non per sua scelta, ma per accontentare il padre, che voleva una figlia composta, prevedibile, una studentessa modello e controllabile da qualsiasi distanza. Emma, invece, avrebbe preferito dedicarsi al design di moda e di accessori, più che alla progettazione degli spazi. Rimane rapita dal fascino di Tommaso, il quale ricambia il coinvolgimento, un uomo molto più grande di lei, separato con un figlio quasi inesistente. I due si conoscono durante un innocente pranzo a casa di una amica di liceo di Emma.
La vita di Emma, da quell’incontro, cambia totalmente, lei è pronta a rivoluzionare le sue scelte, infatti abbandona l’università e si mette alla ricerca di un lavoro, presso le aziende che producevano accessori per la casa, la sua grande passione, il suo obiettivo è dimostrare a Tommaso e alla sua famiglia che è una donna forte e caparbia. Il lavoro arriva, il suo compito era quello di sviluppare idee, creare nuovi oggetti, lampade, librerie, sedie, portaoggetti, sottopentole, portapane o qualsiasi altra cosa la sua mente avesse voglia di produrre. Ma la favola tra lei e Tommaso, durata 10 anni, finisce ed Emma si sente crollare il mondo addosso.

“Non esiste la coppia perfetta. Nessuno può amarsi per sempre, nutrire infinita fiducia o costruire un rapporto del tutto privo di minacce. Esistono solo impavide persone che nonostante tutto ci provano. A volte ci riescono”.
“Esiste solo un modo per comprendere l’amore: fare un accurato elenco di tutti i suoi dettagli”.
“Quando ci spezzano il cuore abbiamo bisogno di una sola cosa, una ragione per alzarci al mattino”.

Marco entra nella vita di Emma alla fine della storia d’amore con Tommaso, l’incontro tra i due fu del tutto occasionale, durante una cena organizzata da una sua collega ed altri amici. Emma cercava di dimostrarsi accattivante agli occhi di Marco e ci riesce, in pochissimo tempo i due diventano inseparabili anche perché lui sembrava avere occhi solo per lei.
Marco era un collezionista d’arte, stranamente non aveva mai impegni di lavoro.
I due di sposarono 6 mesi dopo, senza dirlo a nessuno.
“Amare qualcuno davvero significa concedergli di toccare il cuore senza difese o precauzioni”.
Ma presto la vita di Emma viene stravolta dallo strano modo di fare di suo marito Marco, così premuroso, gentile e affettuoso all’inizio, così violento dopo.
<< Deve assolutamente andarsene da lì, e deve trovare un modo di portare qui suo marito. Da quello che intuisco, è in preda a un delirio psicotico a sfondo paranoico e può essere molto pericoloso, ma possiamo ricoverarlo solo con un trattamento sanitario obbligatorio>>.
<<<… I soggetti con questo tipo di disturbo vivono nel terrore che qualcuno gli faccia del male. E’ come se vedessero nemici dappertutto. All’inizio non è così.
Si fidano di qualcuno, che lentamente si trasforma in un altro nemico. Lei è in questa fase, e la sua vita dipende da quanto lui la considera ancora una sua alleata>>.
<< Mi ascolti. Suo marito deve essere curato. In questo paese la violenza domestica è percepita come un affare privato e non come un reato da rendere pubblico. Non lo terranno lontano da lei >>.

Emma si ritrova in preda alla disperazione, vuole mettere in salvo la vita di sua figlia e la sua.
“I ricordi, soprattutto quelli dolorosi, non ci dicono chi siamo diventati, ma da dove siamo partiti”.
Emma ci mette un po' a capire che suo marito è così e che non cambierà, del resto è impensabile lasciare una figlia con un uomo violento. Un uomo che inizia prima con la violenza psicologica, cerca di isolarla, la denigra, la offende definendola brutta, antipatica, incapace, dopodiché espande l’attacco alle sue amicizie, ai suoi familiari, ai suoi colleghi, al suo datore di lavoro, per poi culminare il tutto picchiandola e lei per pudore, per vergogna si isola e lo difende pure. In questi casi, campanello d’allarme deve essere la persona che controlla i soldi, che non permette di uscire, che vuole tenere tutto sotto controllo, che afferma di poter mantenere l’altro e quindi lo priva di autonomia economica, proibendogli di andare a lavorare, tanti tantissimi indizi, quasi a formare un decalogo per prevenire di incappare in circostanze così brutte, ma Emma lo scopre, quando ormai è troppo tardi, di stare con una persona totalmente differente da quella che ha conosciuto.
Dopo tanto subire si rende conto che deve dare una svolta alla sua vita.
Ma a tutto questo c’è un rimedio, bisogna rivolgersi agli uomini e alle donne non violenti, una persona violenta se è consapevole deve farsi aiutare, i non violenti devono combattere la violenza, intervenire, non esiste mai una giustificazione alla violenza.
Tutti hanno diritto ad una seconda occasione. Chi sbaglia, chi si pente, chi si arrende. Tutti hanno diritto di rimediare agli errori commessi, di ricominciare da capo o rifarsi una vita. Basta trovare il coraggio di chiederlo.

“L’amore scopre il meglio di noi: la voglia di andare avanti, il coraggio delle nostre azioni, il desiderio di continuare a sperare”.
Ed Emma impiega tutte le sue forze per riuscire a liberarsi.
Solo nel 1956 la Corte di Cassazione ha deciso di abolire lo ius corrigendi, secondo cui al marito spettava il diritto di colpire la moglie che, a suo personalissimo giudizio, aveva commesso errori nell’educazione dei figli.
<< Ragionare? Io ho vissuto l’inferno! Sentiamo: su cosa vuoi ragionare? Sulla vostra assenza? Sul fatto che non vi siete mai preoccupati di sapere dove fossimo? O sul fatto che per voi era un sollievo che ci fossi io a farmi menare al posto vostro? Ora le regole le decido io >>.

Solo nel 2009 lo stalking e la persecuzione diventano reato, facendo emergere un fenomeno dalle dimensioni allarmanti.
“Dicono che i rimorsi vincono sui rimpianti perché sbagliare o infrangere il nostro codice morale ci spaventa meno che pentirci di non averlo fatto”.
Emma si rende conto che non era stata la vittima di un uomo violento, ma di una famiglia anaffettiva, priva di scrupoli e molto potente e col tempo mettendo a posto tassello dopo tassello si è resa conto dell’importanza delle cose che stava vivendo, specie delle inspiegabili reazioni del marito.
“Lo diciamo in continuazione: la vita non è mai come ti aspetti ma certe volte sa anche come farsi perdonare”.
<< Tutto questo viene comunemente chiamato guarigione, il nostro ritorno all’equilibrio e alla salute. Raramente però è accompagnato dalla dimenticanza. Ma non importa, perché l’unica cosa davvero importante è ricordarsi di splendere. Anche se il mondo, a volte te lo impedisce, tu splendi.
Splendi più che puoi >>.
“In astronomia la chiamano “energia oscura”. Ed è la causa primaria dell’espansione accelerata dell’universo. Qui, sul pianeta terra, la riconosciamo in ogni donna capace di portarsi in salvo”.

Perché a volte vogliamo vedere oltre, vogliamo a tutti i costi trovare il buono in cui abbiamo accanto, concedergli fiducia. E nessuno può essere condannato per questo, è un proposito insito nell’animo umano. Tutti sbagliano e certe volte ammettere l’errore e concedersi una seconda possibilità è quanto più difficile ci sia.

La Rattaro è stata bravissima nel raccontarci questa storia, con il suo inconfondibile modo di scavare nelle imperfezioni, nel dolore, utilizzando una scrittura semplice e chiara, tale da lasciare chi legge senza parole, ma con gli occhi e il cuore gonfi di lacrime. Semplice nel raccontare ciò che semplice non è affatto. Emma, la protagonista, ha vissuto l’inferno, ma non vi è morta dentro. Ha potuto raccontarlo. Una lezione sul come sia possibile tornare a vivere ad ogni costo. Il romanzo “Splendi più che puoi” è tratto da una storia vera, una donna sequestrata dal marito durante il matrimonio, negli anni ‘90, si sente pronta a trasformare la sua storia vissuta in un passato da ricordare, sicuramente, ma da archiviare, così si affida alla scrittrice per darne testimonianza. Il romanzo è ispirato al delicato tema della violenza sulle donne “Splendi più che puoi” è la storia di un complesso percosso di emancipazione fisica e psicologica dagli abusi commessi quotidianamente da un marito senza scrupoli, insensibile e paranoico.
Così, tra le ferite che lacerano il corpo e quelle che provano lo spirito, Emma, la protagonista, dovrà prima studiare attentamente i comportamenti del marito per prevedere ogni possibile mossa e poi, mettere a punto un vero e proprio piano di fuga per portare in salvo la propria vita e quella di sua figlia, Martina. A questo punto, insieme alla battaglia legale volta ad ottenere l’affido esclusivo della piccola, inizia la dura lotta interiore affrontata dalla donna per riconciliarsi con se stessa e tornare ad una vita il più possibile “normale”. Prezioso, in questo lungo processo, si rivelerà il contatto con altre donne segnate dallo stesso dramma, tutte, come Emma, al capolinea di storie diventate impossibili. Solo così, un po' per volta, la donna riacquisterà la necessaria fiducia in se stessa e nel proprio valore, tornando con forza a vivere il lavoro e gli affetti più cari.
Molto spesso, però, le donne che vivono queste situazioni difficili non trovano il coraggio di farsi aiutare, ma credono e sperano di poter riuscire a risolvere il problema da sole e quando si accorgono di non farcela è già troppo tardi, ecco che si verifica il FEMMINICIDIO.

FEMMINICIDIO: qualsiasi forma di violenza esercitata sistematicamente sulle donne in nome di una sovrastruttura ideologica di matrice patriarcale, allo scopo di perpetuarne la subordinazione e di annientarne l’identità attraverso l’assoggettamento fisico o psicologico, fino alla schiavitù o alla morte.
Il termine femminicidio si usa quando in un crimine il genere femminile della vittima è una causa essenziale, un movente, del crimine stesso, nella maggior parte dei casi perpetuano all’interno di legami familiari. Donne uccise dai fidanzati, mariti, compagni, ma anche dai padri a seguito del rifiuto di un matrimonio imposto o di scelte di vita non condivise.
Negli anni ‘90 una antropologa messicana di nome Marcella Lagarde ha analizzato le violenze perpetuate sulle donne messicane individuando le cause della loro marginalizzazione in una cultura machista e in una società che non dà tutele dal punto di vista giuridico, con indagini lasciate pendere e con lo stupro coniugale non considerato come reato. Lagarde è la teorica del termine femminicidio. In esso, oltre all’omicidio, racchiude anche tutte le discriminazioni e pressioni psicologiche di cui una donna può essere vittima.
Lo definisce così: “La forma estrema di violenza di genere contro le donne, scrive Lagarde, prodotto della violazione dei suoi diritti umani in ambito pubblico e privato, attraverso varie condotte misogine che comportano l’impurità tanto a livello sociale quanto dallo stato e che, ponendo la donna in una posizione indifesa e di rischio, possono culminare con l’uccisione o il tentativo di uccisione della donna stessa”.
Ad oggi continuiamo a fornire un modello educativo diverso per il maschio e per la femmina, questa è la base su cui nascono le violenze sulle donne.
I maschi devono raggiungere obiettivi difficili, essere i capo famiglia, quelli che primeggiano, quelli che non devono mai chiedere.
Le donne sempre un passo indietro, meno pagate, sempre in silenzio, non devono mettere in ombra l’uomo che hanno accanto, devono invece sopportare e avere pazienza. E’ chiaro che se una donna non sta in questo schema, l’equilibrio si va a rompere. Ma le donne non possono vivere più in questo schema, abbiamo il diritto di avere gli stessi stipendi e le stesse cariche, abbiamo le pari opportunità. Dunque è chiaro che nella realtà, vige ancora una forte discriminazione.
Molte donne sono figlie di situazioni di violenza, ci sono donne cresciute in famiglie in cui le madri, le nonne, hanno sopportato delle situazioni di sottomissione, quindi denunciare e ribellarsi diventa complicato e si insegna, “che una donna non se la deve andare a cercare”, così facendo non si insegna l’amore né l’affettività.
Noi continuiamo a spostare l’attenzione sulla donna picchiata: sul perché lei non se n’è andata, sul perché lei ci ha fatto dei figli, sul perché lei l’ha sopportato, ma perché non ci chiediamo la ragione per cui lui l’ha picchiata? Perché continuiamo a processare la donna?
Perché non poniamo attenzione nei confronti di chi picchia?
A nessuna donna piace essere picchiata, a monte ci sono milioni di motivi: non avere dei soldi, non sapere dove andare, essere sole, avere paura per i figli. Si pensa che il problema potesse risolversi solo nel momento in cui lei riesce ad andarsene, invece l’uomo violento rimane l’uomo violento, il problema non è risolto. Abbiamo salvato una vittima, ma l’uomo è sempre violento.
Si parla di violenza sulle donne solo quando le donne vengono uccise, invece ci sono quelle che si salvano e non se ne parla, non si lascia passare un messaggio di speranza, al contrario si lascia passare un messaggio di rassegnazione.

La Rattaro per tale motivo ha preferito raccontare una storia vera piena di speranza, piuttosto che una storia di femminicidio o di violenza ritenendola una mancanza di rispetto per chi subisce davvero tutto questo.
Bisogna non sottovalutare l’essere umano in toto, perché gli uomini non sono gli unici nemici delle donne, ma spesso le donne non sanno coalizzarsi, a meno che non ci sia sorellanza. Anche le donne accusano le donne, pensiamo alle donne che assumono una posizione di potere, mettiamo in dubbio le capacità della donna al potere se è bella, carina, simpatica, al contrario se una donna è poco avvenente la massacriamo perché brutta. Una bella al potere non la accettiamo, ma non accettiamo nemmeno una in gamba al potere. Bisogna sempre trovare un secondo perché mettendo in atto una crudeltà allucinante.

Amare qualcuno vuol dire rispettare la sua vita, molto spesso scegliamo delle persone, ma poi vogliamo che diventino come desideriamo noi e che non rimangano più quello che erano quando ce ne siamo innamorati.
Rimaniamo affascinati da qualcosa che poi vogliamo spegnere, magari inconsciamente per paura che qualcun altro si innamori di quella luce.
Ciò ci deve fare riflettere, poiché ci troviamo dinanzi a soggetti affetti da disturbi psicologici in combinazione con una certa predisposizione biologica, i quali sviluppano un’elevata sensibilità a stimoli emozionali, vivono le esperienze emotive in maniera estremamente intensa e manifestano un lento ripristino del livello emotivo basale, sono i cosiddetti individui affetti da disturbo borderline. Individui che cercano di superare gli intensi stati emotivi negativi, configurandosi con un comportamento problematico e aggressivo. Tali comportamenti impulsivi e disgregolati vengono utilizzati al fine di regolare gli stati emotivi problematici che compromettono il benessere psicologico individuale. Fra i comportamenti maggiormente connessi a tale processo ritroviamo:
- l’autolesionismo non suicidiario;
- l’alimentazione incontrollata;
- l’utilizzo di sostanze;
- i tentativi di suicidio e la ricerca di rassicurazione.

Trasgrediscono allegramente le leggi i soggetti borderline il cui numero non è stato mai del tutto definito statisticamente dalle ASL, rispetto agli abitanti di un paese o di una regione; in base ad alcuni indicatori, attualmente emergenti dalle cronache giornalistiche e dal numero crescente delle querele per alcuni reati e vandalismi e crimini, il numero appare percentualmente alto.
Negli anni ‘60 si riteneva che i soggetti borderline fossero affetti da un disturbo della personalità dovuto ad un’instabilità del carattere, magari sopravvenuto in seguito alla scadente educazione ricevuta nell’ambiente famigliare, ma con più approfondite indagini si arriva ad ipotizzare, oggi , con sufficiente certezza, attraverso molteplici prove e test che l’intelligenza di questi soggetti risulta “sul filo del rasoio o sulla linea di bordo”, appena sufficiente e quel che è peggio, “si accende e spegne” come una luce fiocca “che va e viene”.

Spesso le persone borderline sono segnalate dagli insegnanti di sostegno, perché presentano aspetti comportamentali al confine tra normalità ed anormalità. Quindi passano generalmente inosservate, sembrando, all’apparenza morfologica, del tutto normali. In famiglia vengono ritenute sane, ma soltanto svogliate, superficiali, scanzonate, disordinate, distratte, amanti delle compagnie divertenti e poco impegnative. In alcuni casi, i maschi vestono in maniera trasandata e bizzarra e le femmine risultano scomposte.
Si ipotizzano cause prenatali di natura genetica o risalenti a problemi immunitari, virali, neurochimici, intolleranze alimentari o alcolismo dei genitori, sulle origini del disturbo borderline.
Il soggetto borderline già alla nascita presenta alcuni comportamenti psicosomatici scoordinati, connessi alle carenze intellettive anche se non molto evidenti, poi durante la frequenza delle scuole d’infanzia e medie appare agli insegnanti con tutte le sue limitazioni intellettive: distrazione abituale incapacità di attenzione e concentrazione prolungate, difficoltà apprenditive, svogliatezza, imprecisione, trascuratezza, propensione al bullismo.
Il carattere borderline manifesta anche alcuni aspetti positivi quali il sorriso, la socievolezza di base, l’allegria e proprio per questo i genitori più sprovveduti sono pronti a scommettere sulla perfetta integrità psichica ed a difendere gli aspetti comportamentali.
Ma dietro questa facciata attraente si nasconde una grave instabilità emotiva, la mancanza di progetti personali ordinati, la paura vera o presunta di rimanere soli, che provoca gravi reazioni con episodi criminali passionali ed autolesionismo, una conoscenza molto superficiale degli obiettivi, delle necessità, dei compiti personali, familiari e sociali.
La vita vissuta  senza una sufficiente coscienza del passato, del presente e del futuro. I soggetti borderline anche se nel pieno dei 18 – 20 anni, trascorrono buona parte della giornata girovagando, trastullandosi con oggettini spesso insignificanti, guardando gli altri che lavorano come se fossero attori in uno spettacolo divertente, imbrattano con scritte ingiuriose, mutilano statuette nascondendosi nel buio e sporcano ogni muro bianco.

I soggetti “borderline” nella generalità dei casi non sono a conoscenza delle loro limitazioni intellettive, perché non hanno la capacità di discernere i procedimenti utili da quelli inutili, però riescono a capire per sommi capi i danni che fanno e li ritengono necessari per diventare importanti. Con questa logica ridono e si compiacciono dei danni arrecati. E per questo sono più pericolosi dei deficienti gravi, avendo la possibilità di usare una modesta dote intellettiva per aggregarsi in branco e fare il massimo dei danni possibili agli altri, tanto per scherzare a modo borderline.
Nella descrizione genetica di questi soggetti occorre ricordare principalmente che essi non sono capaci di risolvere problemi complessi ed allora per appagare i loro desideri diventano OSSESSIVI nei confronti delle persone più prossime fino a giungere alla persecuzione (STALKING) con iniziative pericolose e criminali, che poi giustificano in maniera bambinesca.
In alcune aree geografiche degradate, con alcolismo endemico, il numero dei soggetti borderline è sorprendentemente elevato, tanto è vero che è facile anche per i non esperti di psicologia osservarne persino gruppi in genere di pari età, che con atteggiamento allegro e scanzonato, ma non provocante né minaccioso, si aggirano nei pressi delle fiere, delle sagre, delle feste di paese, nelle sale di attesa, sotto i portici, nelle aree condominiali nei parchi pubblici, nei parcheggi degli ipermercati, davanti ai circoli di ritrovo, nelle ore più impensate, magari scalciando pietre o bottiglie di plastica, agitando asticelle di legno o indumenti, in cerca di improbabili passatempi.
Hanno una bassa scolarità, alcuni già dopo la terza media non resistono più tra i banchi alle superiori. Non ce la fanno a continuare gli studi, sono disordinati e vengono reclutati da qualche conoscente più furbo che li fa diventare gregari del suo branco. Escono di casa in cerca di amici per trovare uno scopo o un passatempo, ma finiscono per incontrarsi solo con altri borderline di pari livello intellettivo e si trastullano nei modi più strani ed impensati e poi stanchi e sciatti ritornano a casa senza un’idea per il domani.

Ai borderline piace la vita giocosa di gruppo, perché vi trovano compagnia, consenso, sostegno, spensieratezza, assenza di responsabilità personale, assenza di impegno rispetto ai doveri imposti dalla propria famiglia.
Nel gruppo misto i borderline conoscono persone dell’altro sesso e provano delle pulsioni fisiche ossessive che eventualmente sfociano anche in una vita matrimoniale o di coppia stabile. Le modalità della convivenza matrimoniale però non riducono la passione per la frequentazione del gruppo di amici che è sempre tutt’uno con la coppia. Ne deriva una vita matrimoniale promiscua, allegra, ma povera di mezzi, che sconfina nell’intimità amicale del gruppo borderline, fino a confondersi con esso. Il borderline ha paura di rimanere solo con sua moglie, perché gli mancano le idee, i progetti e la conoscenza delle responsabilità. Spesso tale convivenza matrimoniale, allargata ai propri parenti ed alle frequentazioni amicali diventa “multi- partneriale”.
La coppia talvolta si scompone e si ricompone negli anni con lo scambio dei ruoli dei protagonisti del gruppo, pertanto spesso nascono delle incomprensioni, che sfociano in vere e proprie tragedie in danno del partner più debole e dei figli.
Non mancano episodi dagli esiti imprevedibili con conseguenze gravissime anche quando essi urtano, con la loro dabbenaggine sconsiderata, la suscettibilità di criminali che hanno il dominio sul territorio.
I borderline vivono in maniera succube ed incredibilmente non risentono della loro condizione perché la loro psiche, a parte il terrore di rimanere soli, elabora in continuazione quasi ossessivamente soltanto i ricordi dei divertimenti bambineschi, veri e presunti, legati a esibizione scalmanate.

Gli studiosi dello sviluppo neurologico dei meccanismi alla base dei disordini psicologici psichiatrici della personalità hanno individuato e studiato le caratteristiche di persone, dall’apparenza comune con caratteristiche borderline pervasive che potenzialmente possono commettere intemperanze, vandalismi e reagire con persecuzioni e crimini passionali in alcune situazioni.
Hanno visto che i borderline presentano un vuoto interiore, una propensione alla noia, una ricerca assillante di un obiettivo e quando percepiscono un RIFIUTO da una PERSONA prossima manifestano una FORTE PAURA di ESSERE ABBANDONATI e perciò sviluppano una RABBIA ESAGERATA nell’ IMMINENZA di una SEPARAZIONE o della NEGAZIONE di un BENEFICIO.
Non sanno affrontare in maniera resiliente nemmeno una PICCOLA SEPARAZIONE IMPOSTA dalle NECESSITA’ o un CAMBIAMENTO INEVITABILE di un VECCHIO PROGETTO.
Hanno notato che i tratti caratteristici più pericolosi sono rappresentati dall’incapacità di vivere da soli, instabilità degli obiettivi, delle passioni, delle relazioni, dell’umore, dell’immagine personale, del comportamento benevolo o punitivo nei confronti del prossimo, necessario a soddisfare le proprie aspettative e necessità.
Hanno evidenziato che quando si FIDANZANO, sono presi esageratamente dall’ENFASI del’ EVENTO e cercano di condividere con l’altra o con l’altro ESPERIENZE molto INTIME e MINUZIOSE, precorrendo i tempi in maniera ASSILLANTE ed ANSIOGENA, senza permettere al PARTNER la benché minima disattenzione o trascuratezza nei loro confronti.
Non appena percepiscono un RIFIUTO dalla PERSONA IDEALIZZATA si ritengono svalutati nella loro esistenza, offesi e minacciati di abbandono, manifestano subito SINTOMI NEUROPSICHIATRICI comprendono IRREQUIETEZZA, CAMBIAMENTI di UMORE e di COMPORTAMENTO, pertanto giustificano progetti di vendetta e reazioni criminali passionali anche automutilanti e suicidarie. Si danno ad esperienze spericolate, estreme e senza precauzioni, abusano irresponsabilmente di se stessi e degli altri, esagerano nel mangiare, nel bere, nella guida, provano ansia commista a paura e disperazione e non si curano del dolore fisico.
Gli psicologi oggi affrontano con grandi difficoltà cliniche la terapia dei soggetti borderline, principalmente se l’intervento è richiesto nell’età adulta, cioè dopo che sia avvenuto il consolidamento della personalità e dei legami relazionali. L’intervento nelle condizioni patologiche, diretto a modulare l’ansia, la fobia, la depressione è complesso e non può prescindere dall’intervento neuropsichiatrico, perciò parte col rimuovere ove possibile le cause ansiogene, agendo anche sul gruppo familiare, stimolando nuove percezioni gratificanti ed orientando il soggetto, nell’immediato, verso condotte meno impulsive nel contesto familiare, lavorativo sociale.

Ritengo, quindi, sia fondamentale una buona informazione a tal riguardo, poiché tali individui sono pericolosi, in quando si presentano come individui molto premurosi, i più premurosi che si possono incontrare, ricordiamo Marco che ricopriva di attenzioni e regali Emma. Altra caratteristica, i soggetti borderline riescono ad avere una intensificazione delle emozioni molto repentina, riescono a provare emozioni, come la rabia in brevissimo tempo, Marco non riesce a mantenere autocontrollo alle battute di Emma e soprattutto alla notizia della morte del padre mette a nudo tutta la sua ira, colpendola, per dimostrare ad Emma il suo intenso dolore, definendosi vittima, attraversata e bersagliata dalle emozioni per il dolore che sta subendo, per la morte del padre e per le accuse, che possono riversare su di lui i suoi famigliari. Dunque una forte scarica emotiva per questi soggetti fa sì che intraprendere relazioni durature e stabili risulta difficile. Molto spesso questi soggetti sono vittime di una catena generazionale, di una trasmissibilità inconscia dei genitori verso i propri figli ovvero scaricano i loro traumi le loro frustrazioni sulla generazione successiva e chi ha subito un trauma spesso tende a traumatizzare gli altri.
Curare un paziente borderline significa curare una relazione fra questo paziente e una figura o più figure familiari, che sono intrappolate con lui in una relazione di ODIO – AMORE indistruttibile, cioè “non posso stare senza di te, ma non posso neanche stare con te” e quindi questo rapporto violentissimo, distruttivo, conflittuale tra un bisogno rabbioso dell’altro, diventa la matrice delle terapie.
C’è una frase famosa di Machbeth che dice << La vita è la storia raccontata da un idiota piena di frastuono e di rumore che non significa nulla>> questa frase, credo possa andar bene per un soggetto borderline in quei momenti di disorientamento, dove la persona affetta dal disturbo si riattacca ad una figura che gli dà un senso di continuità, di protezione, di sicurezza e quindi ci vorranno 6 ore, qualche volta un giorno o due o certe volte ci vuole un bel ricovero, per far sì che il polverone terribile si risedimenta e la persona ritrova la voglia di ricostruire una relazione, un rapporto.

Marco dopo la rottura con Emma cerca una nuova relazione, adottando le stesse tecniche utilizzate in precedenza con Emma, in più racconta negatività sul conto di Emma per farsi compiacere.
Marco si presenta come una persona dissociata, in certe circostanze assume l’aspetto da persona garbata, servizievole, affettuosa e premurosa e in altre una persona totalmente differente, dando l’impressione a chi sta con lui di credere che si ha a che fare con un’altra persona. Emma si era accorta di questo suo sdoppiamento di personalità e si era accorta, che da sola non poteva farcela, con tutta la buona volontà, che ci aveva messo, pertanto aveva chiesto aiuto ai familiari, i quali erano incuranti del figlio e di ciò che faceva occorreva invece arrecare delle cure terapeutiche tra il soggetto interessato e la famiglia o la persona più importante della sua famiglia.

La Rattaro non solo è una scrittrice che sfiora l’anima, ma anche una donna adorabile ed amichevole, ho avuto modo di incontrarla ed ascoltarla durante la presentazione del suo libro e vi assicuro, che in lei traspare amore incondizionato nei confronti dei lettori e passione in ciò che scrive.
Nei suoi romanzi, con grande precisione, rende vivi i personaggi, facendoceli quasi vedere e dandoci la sensazione di stare lì con loro e vivere le scene narrate con grande pathos. Le sue storie non sono mai banali o già lette, ma si ispirano ai racconti delle persone che incontra.
Sara Rattaro affronta un tema scottante, la violenza sulle donne, un tema di cui si parla poco e male, ma lei è riuscita a creare un rapporto così forte con i suoi lettori, da potersi permettere di pubblicare un romanzo con un tema così difficile, coinvolgendoli e meritandosi la loro fiducia.
L’obiettivo, che si pone Sara Rattaro in questo romanzo, a mio parere, è riuscire a veicolare la sua storia agli uomini, perché le donne conoscono benissimo l’argomento, sono gli uomini, che vanno emotivamente coinvolti. In questo libro c’è un padre, quello di Emma, la protagonista, c’è il nuovo amore di Emma, Filippo, che deve affrontare questo problema con lei, quindi ci sono uomini che soffrono, soffrono per la violenza subita dalle loro donne. Dietro una donna che subisce violenza c’è sempre almeno un uomo, che subisce la violenza con lei. Incisiva si presenta la conclusione, un inno alla vita, alla libertà, al saper farsi giustizia, alla caparbietà e al grande rispetto per il dolore. Cosa aggiungere, mi sento di consigliare la lettura di questo romanzo, assolutamente, perché tutti abbiamo bisogno di Splendere e non di vivere di luce riflessa, sono sicura, che dopo la lettura di “Splendi più che puoi” inizierete a Splendere di più  😉

Sonia Dado



Sara Rattaro
Sara Rattaro nasce in una famiglia di commercianti genovesi specializzati in ottica. Nel 1994 prende il diploma magistrale e quindi si iscrive all’Università di Scienze Biologiche dove si laurea nel 1999 con lode. Nel 2009 consegue la laurea anche in Scienza delle Comunicazioni presso l’Università degli studi di Genova. Dal 1999 al 2006 frequenta più di una decina di corsi di specializzazione sia inerenti gli Studi clinici sia nel campo della Comunicazione conseguendo diploma al master in Comunicazione della Scienza «Rasoio di Occam» a Torino. Nel 2009 completa il suo primo romanzo Sulla sedia sbagliata che viene letto e scelto dall’editore Mauro MORELLINI. Il romanzo ottiene un buon successo di pubblico e critica. E’ lei in prima persona che si occupa di organizzare tutte le presentazioni del libro percorrendo tutta Italia e instaurando bellissimi rapporti con i “suoi librai”, come li definisce affettuosamente lei e che ancora oggi continuano ad ospitarla per le presentazioni dei suo libri. Nel 2011 scrive il suo secondo romanzo Un uso qualunque di te. Una storia che le esplode “prima nella testa e poi nella mani”. Nello stesso anno incontra l’agente letterario Silvia Meucci con la quale instaura un rapporto lavorativo e personale bello e proficuo. Il romanzo viene scelto da GIUNTI Editore. Il libro esce il 14 marzo 2012 con 20.000 copie vendute in una settimana e viene tradotto in 9 lingue. Una confessione tutta la femminile di Viola, mamma e moglie controversa che insieme alla figlia Luce e al marito Carlo danno vita ad una storia che “esplode nella testa e nel cuore”, diventando un vero fenomeno del passaparola tra i lettori. In occasione del suo terzo romanzo, Sara incontra Garzanti con il quale, nel maggio 2013 pubblica il best seller Non volare via che entra immediatamente nelle classifiche permanendovi per molte settimane. All’estero Non volare via si conferma in Europa e vola oltreoceano conquistando anche il Brasile. Nel settembre del 2014 sempre con Garzanti pubblica Niente è come te, una storia vera che tratta di un tema molto delicato: la sottrazione internazionale dei minori. E’ l’emozionante e bellissima storia di un papà e di una figlia, Francesco e Margherita, che si rincontrano dopo 10 anni. Nel 2015 Garzanti ha ripubblicato il suo primo romanzo Sulla sedia sbagliata. A Marzo 2016 è stato pubblicato il romanzo “Splendi più che puoi”, un romanzo che affronta con delicatezza il difficile argomento della violenza di genere: una storia toccante, profonda e carica di speranza.
Sara Rattaro ha vinto il Premio Città di Rieti 2014 con il libro “Non volare via” e il Premio Bancarella 2015 con il libro “Niente è come te”. Nel 2016 si è aggiudicata il Premio Rapallo Carige per la Donna Scrittrice e nel 2017 il Premio Fenice Europa sezione “Malizia” con il romanzo “Splendi più che puoi”. Nel Marzo 2017 è stato pubblicato il suo primo romanzo con la casa editrice Sperling&Kupferl’Amore Addosso che ha vinto il Premio Letteraria 2018. Debutta nella narrativa per ragazzi con “Il cacciatore di sogni” edito da Mondadori Ragazzi nell’ottobre 2017. Sempre nell’ottobre del 2017 ha partecipato alla collana di racconti “Genova d’autore” edito da Morellini editore, con il racconto inedito Guardo mio padre negli occhi.  Il 13 febbraio 2018 è stato pubblicato il  romanzo Uomini che restano, edito da Sperling & Kupfer che ha vinto il Premio Cimitile 2018. Il 6 novembre 2018, Sara Rattaro torna in libreria con Andiamo a vedere il giorno, sequel di Non volare via. A febbraio 2019 è prevista la pubblicazione del nuovo romanzo per ragazzi. L’esperienza di docente di Scrittura di Sara Rattaro continua. Per il terzo anno consecutivo insegnerà al corso di Laurea in Scienza della Comunicazione presso l’Università degli studi di Genova. Sara Rattaro dirige la scuola di scrittura Fabbrica delle storie insieme a Mauro Morellini a Milano. Il corso prevede la creazione di una raccolta di racconti scritti dai partecipanti sotto la sua stessa guida.

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