Christina Dalcher

VOX





“Sono diventata una donna di poche parole. Stasera, a cena, prima che pronunci le ultime sillabe della giornata, Patrick dà un colpetto al dispositivo argentato attorno al mio polso sinistro. Un tocco leggero, come per condividere il mio dolore, o forse per ricordare di rimanere in silenzio fino a mezzanotte, quando il contatore si resetterà. Questa magia si compirà mentre sarò già addormentata, e martedì ricomincerò da zero. Il contatore di mia figlia Sonia farà lo stesso. I miei figli maschi, invece, non hanno nulla al polso”.


La narrazione è ambientata in America, una nazione governata da fanatici religiosi, che detengono il potere e attraverso l’estremismo del credo religioso e dell’indottrinamento delle masse, giungono alla conclusione di una necessità impellente ed aberrante ovvero ripristinare i ruoli e i valori all’interno della famiglia, per ridare, a loro modo di vedere, un ordine, scindendo le due figure sociali maschio e femmina. 
La figura maschile è legittimata a prendere decisioni di ogni tipo e a lavorare, al contrario la figura femminile è costretta a rivestire un ruolo marginale, può solo pronunciare non più di cento parole al giorno ed occuparsi delle mansioni domestiche, nonché del ruolo di madre e custode della casa a tutti gli effetti. Cento parole al giorno. Questo è il limite che ogni donna deve rispettare se non vuole essere punita da una scossa elettrica emanata dal braccialetto, che porta al polso, un aggeggio munito di un contatore che scatta a ogni parola pronunciata. 
Nell’America immaginata dalla scrittrice e linguista Christina Dalcher, nel suo libro d’esordio “Vox” scritto in soli due mesi, governano i Puri, personaggi che uniscono il maschilismo al fanatismo religioso e impregnano la loro retorica di richiami ai sani valori del passato, che mirano a ripristinare dopo anni di perdizione morale e spirituale. 
Le donne, oltre a non poter sfiorare le cento parole al giorno, non possono nemmeno lavorare, leggere e scrivere in una parola sola sono recluse. Non solo: adulteri, omosessuali e cospiratori vengono spediti lontani dalle città, ai lavori forzati. Viene riformulato anche il concetto di scuola, tant’è che vi è una marcata separazione delle figure femminili e maschili già dalle elementari, il contesto prevede una preparazione scolastica ben diversa per le femmine dove le tre competenze: leggere, scrivere e far di conto vengono ridotte ad una, l’aritmetica elementare; poiché ci si aspetta che da grandi sappiano fare la spesa e gestire le faccende di casa, che siano delle mogli devote e diligenti e per queste mansioni serve saper contare e non certo conoscere l’ortografia, né la letteratura e cosa ancor più grave non serve nemmeno avere una voce. Anche la televisione subisce il monopolio governativo, la TV via cavo con più di cento canali che trattano argomenti come: sport, giardinaggio, cucina e architettura, cartoni animati per bambini e cinema, tutti i film proposti sono adatti ai minori, poiché gli altri canali sono tutti protetti da una password e li possono vedere solo il capofamiglia e i maschi sopra i diciotto anni. Inoltre, le donne vengono private pure dall’utilizzo del passaporto. 
La protagonista del romanzo, Jean McClellan, come l’autrice è una linguista ed una neurologa affermata, come tutte le altre donne americane stravolta e sconvolta dalle decisioni politiche, costretta anch’essa a portare un braccialetto che, allo scoccare della 101ma parola giornaliera, le provoca una scossa elettrica ad alto voltaggio. Le è stato proibito di lavorare, ha il compito di occuparsi di suo marito Patrick, che lavora alla Casa Bianca come consulente scientifico del Presidente e dei suoi 4 figli: Steven il primogenito, pericolosamente affascinato e conquistato dalle nuove ideologie del Movimento per la Purezza, i due gemelli e Sonia. 
Jean si sente soffocare dal contesto in cui si trova, costretta a vivere, dentro di lei c’è una voglia di usare la propria voce e di protestare, proprio come faceva la sua amica ribelle Jackie ai tempi dell’università e alla quale non aveva mai prestato ascolto, perché sempre presa dai suoi studi e fiduciosa che non fosse necessario appellarsi così tanto, in realtà troppo tardi si rende conto di come la situazione attuale sia stata preparata e permessa, in seguito all’indifferenza generale. 
Jean grazie alla sua professione, che la vede impegnata a cercare una cura per l’afasia di Wernicke, patologia che comporta problemi sia nella comprensione del linguaggio sia nella sua produzione riesce a vivere con una certa libertà, resterà senza contatore per tutta la durata del progetto, avrà a disposizione un laboratorio all’avanguardia e tutti i fondi e l’assistenza di cui necessita, un considerevole stipendio, con un bonus, se riuscirà a trovare una cura entro i 90 giorni a cominciare dall’inizio del contratto e quando tutto sarà finito la sua quota di parole aumenterà, in più anche Sonia viene liberata dal contatore che teneva al polso. Si è battuta parecchio affinchè Sonia fosse resa libera, perché era stanca di utilizzare il metodo pavloviano, ovvero come se addestrasse un cane, concentrandosi sulle ricompense per evitare le scosse sul piccolo polso di Sonia, una bimba di soli 6 anni, curiosa di scoprire il mondo e privata dalla possibilità di fare e rispondere alle domande, di cantare, di chiacchierare senza doversi limitare ad annuire o a scuotere la testa.


“Ogni volta che Sonia annuiva o scuoteva la testa invece di parlare, le davo una pallina di gelato, un biscotto in più prima di andare a letto o una cioccolata calda con tutti i marshmallow che riusciva a mettere nella tazza. Rinforzo positivo, non punizione. Non volevo che imparasse nel modo peggiore, come avevo fatto io. Inoltre sapevo un’altra cosa sui contatori. Il dolore aumenta a ogni infrazione”. <<Alla centunesima parola, ricevi una scossa leggera. Solo una piccola scarica, che non fa danni. Un avvertimento. La percepisci, ma non fa male>>. <<A ogni dieci parole dopo quella, la carica aumenta di un decimo di microcoulomb. Mezzo microcoulomb fa male. Uno intero …>>.


Jean cercava in tutti i modi di evitare di far conoscere a Sonia cosa poteva fare il contatore al polso, Sonia sapeva che brillava, mostrava numeri e vibrava ad ogni parola che pronunciava, era difficile descriverle il dolore di una scossa elettrica, sarebbe stato come raccontare l’orrore della sedia elettrica per spiegarle il concetto di giusto o sbagliato. La scrittrice ha immaginato un mondo dilaniato da un’epidemia che causa l’afasia di Wernicke e che quindi toglie l’abilità di comunicare all’umanità. Ha continuato a sviluppare la trama immaginando una donna, che è una neurolinguista e che si dedica proprio alla degradazione delle facoltà di linguaggio, poi ha inserito il messaggio politico e l’atmosfera da thriller incalzante, portando il lettore ad una curiosità inarrestabile ed a una voglia irrefrenabile di scoprire il finale.


“Forse è questo che è capitato in Germania coi nazisti, in Bosnia coi serbi, in Ruanda con gli hutu. Mi sono chiesta spesso come facciano dei ragazzini a diventare dei mostri, come imparino che uccidere è giusto e l’oppressione legittima, come faccia il mondo a essere stravolto fino a diventare irriconoscibile nell’arco di una sola generazione”.


Jean si pone tanti interrogativi sulle sorti del figlio Steven, un ragazzo che frequenta le superiori e si è proposto come beta tester per dimostrare nelle scuole femminili come funzionano i braccialetti al polso, così da ottenere una spilla con la lettera P per indicare che è un ragazzo puro, in quanto volontario. Ella disapprova il comportamento e le scelte del figlio, ma soprattutto ciò che la spaventa è come la nuova generazione viene manovrata dalle istituzioni scolastiche volte ad un ritorno al passato e da un dogma religioso che analizza la condizione femminile a fronte di un estremismo religioso. Ciò si verifica nel periodo Vittoriano e in particolare su un movimento in voga all’epoca negli Stati Uniti e in Gran Bretagna, il Cult of domesticity.
Si credeva che gli uomini e le donne avessero doveri ben separati ossia che la vita politica ed economica fosse nelle mani maschili, mentre le faccende femminili fossero solo quelle legate all’ambiente domestico. Ma, soprattutto, che la sottomissione e la purezza fossero valori imprescindibili per una donna.


“Morgan: << Devi ficcartelo in testa, Jean: le donne non sono affidabili. Una volta funzionava tutto a meraviglia. Prendi gli anni ‘50. Tutto andava alla perfezione tutti avevano una bella casa e una macchina in garage e la cena calda in tavola. E tutto si svolgeva senza intoppi! Non c’era bisogno che le donne lavorassero…>>”.


La vita di Jean subisce un cambiamento, le viene fatta una proposta, trovare un siero che curi l’afasia di Wernicke del fratello del Presidente, inizialmente rifiuta con sdegno perché consapevole che sotto c’era qualcosa di losco, poi però accetta e lavora insieme a Lin una neurolinguista, medico chirurgo che ha smesso di operare cervelli poco prima di compiere 50 anni e si è trasferita a Boston, 5 anni dopo se n’è andata da lì con un dottorato, uno in scienze cognitive e uno in linguistica e poi Lorenzo Rossi collega di università nonché il suo amante, italiano. I tre riescono ad individuare l’esatto locus di somministrazione del farmaco per evitare il contatto con le aree circostanti di tessuto corticale e il rischio di ulteriori lesioni. Ma ben presto i tre si rendono conto che in quel progetto di studio vi era qualcosa di irregolare che stanno subendo un processo di reverse engineering da parte di qualcuno che lavora con loro e cercano in tutti i modi di ribaltare le condizioni imposte dal regime, per riportare gli Stati Uniti alla libertà, che c’era prima dell’ultima candidatura del Presidente. 


“Mostri non si nasce, si diventa. Pezzo dopo pezzo, arto dopo arto, creazioni artificiali di uomini folli che, come l’incauto Frankenstein, credono sempre di saperla più lunga degli altri”.


Un’impresa ardua, narrata dalla scrittrice con veemenza, coinvolgendo il lettore pagina dopo pagina, giungendo alla fine del romanzo con un ritmo sempre più incalzante. Il finale del romanzo credo sia rimasto aperto, magari sarà stata una scelta voluta dalla scrittrice con l’intenzione di proporci in futuro il prosieguo. La Dalcher ci propone un romanzo distopico creando scenari esagerati e negativi e se l’utopia vuole descrivere un mondo perfetto e ideale, la distopia ne mette in scena uno indesiderabile e spaventoso. 
La narrazione viene ambientata in una società in cui non vorremmo mai vivere, ma proprio questo scenario rende il romanzo ancora più avvincente, conferisce tensione, predice un futuro inammissibile, ma spesso lo fa per aiutarci a riflettere sul presente, dietro la distopia, quasi sempre, si cela la denuncia di certi aspetti della realtà contemporanea, facendoci discutere sui rischi paventati e sull’estrema vicinanza che ci può essere tra la religione e lo stato, un ingrediente fondamentale per costruire una distopia. 
Il messaggio che vuole trasmettere la Dalcher è proprio l’importanza di usare la voce, di protestare, perché quando un individuo perde la libertà, che aveva un tempo, spesso resta passivo, non si fa sentire davanti a scelte politiche discutibili e nel momento in cui uno Stato assume troppo potere, i cittadini sono in grande pericolo. “Vox” è un romanzo dalle idee forti immaginarie e magnifiche che costringono il lettore alla lettura, che agisce sul lettore come lente d’ingrandimento, facendogli percepire in modo intenso la fragilità e la finitezza di qualunque vita, immergendolo in scenografie che lo tengono in tensione, dove c’è sempre lo scontro tra bene e male, tra chi lotta per la libertà e chi vuole il controllo assoluto su tutto. 
La lotta è serrata e violenta perché ogni fazione è convinta di essere nel giusto, per quanto devastante e violenta possa essere. Dunque un terreno fertile di riflessione sul nostro tempo, nei suoi risvolti più attuali, derive scientifiche e tecnologiche.
Uno stile ritmato, ricco d’azione che appassiona chi legge con continui colpi di scena, risvolti inaspettati… ne vedrete delle belle, preparatevi agli scenari più diversi e alle scoperte più pazzesche che riuscite a pensare… mi fermo qui e vi auguro una buona lettura 😉

Una copia cartacea di questo romanzo mi è stata gentilmente inviata dalla casa Editrice Nord e colgo l’occasione per ringraziarla.   

Sonia Dado



Christina Dalcher si è laureata in Linguistica alla Georgetown University con una tesi sul dialetto fiorentino. Ha insegnato italiano, linguistica e fonetica in diverse università ed è stata ricercatrice presso la City University London. Vive negli Stati Uniti e quando possibile, trascorre del tempo in Italia, soprattutto a Napoli. Vox è il suo romanzo d’esordio.  

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